Marco Testi – Eppur si muove: nel senso che il Nobel per la letteratura di quest’anno è andato ieri, giovedì 10 ottobre, ad una scrittrice, Han Kang, che è sud coreana. E che ci vuole, diranno i più cattivi, ecco il blocco occidentale che anche nella cultura fa valere il suo peso, seppure in tempo di crisi, finanche in terra di Nobel letterario. Già la motivazione, di aver esposto i traumi storici e la fragilità della vita umana però dovrebbe dirci molto. Kang, classe 1970, non narra il bell’essere in Occidente, o se in Oriente in territori ostili all’Oriente dittatoriale e comunista, ma semmai il dolore di una generazione che ha lottato per questa libertà.
Nel caso del suo più celebre libro, “Atti umani”, che tra l’altro ha vinto l’italianissimo premio Malaparte nel 2017, pubblicato da Adelphi, i protagonisti ricordano, anche con memoria di chi ha pagato con la vita, il massacro di Gwangju, avvenuto durante una rivolta popolare contro la dittatura di Chun Doo-Hwan avvenuta nel maggio 1980. La democrazia di oggi in Asia ha pagato conti salati con un vicinissimo ieri. Nei racconti di “Atti umani” si incontrano spiriti delle vittime, amici e parenti sopravvissuti, perché non si dimentichi da dove è scaturita la democrazia dell’oggi. Eppure i grandi nomi non mancavano neanche quest’anno, anche se sapremo solo tra 50 anni, come tradizione
dell’Accademia, le identità dei cinque finalisti che in passato hanno sempre rivelato grandi della letteratura come Montale, che poi il Nobel lo avrebbe vinto realmente, nel 1975, così come Golding, autore del celebre “Il signore delle mosche”, nel 1983, ma anche stelle di prima grandezza come Burgess o Ritsos.
Talvolta il nome del fortunato scrittore, oggi una scrittrice, tra le poche, si è molto
avvicinato alle previsioni, come nel caso nello scorso anno di Jon Fosse, ma il più delle volte il senno del poi (politica degli equilibri, scarso numero di donne rispetto agli uomini insigniti, necessità di far conoscere chi lotta per la libertà) sta a confermare come il premiato o la premiata sia per i più una sorpresa, come per certi versi con Han Kang: ricordiamoci di Dario Fo e Bob Dylan, la cui scelta rispettivamente nel 1997 e nel 2016 causò non poche polemiche da parte dei puristi che non vedevano di buon occhio la commistione del teatro brillante e della canzone d’autore con la letteratura. Il Nobel per la letteratura ad Han sta a dimostrare che sicuramente ha prevalso anche il desiderio di non ubbidire alle logiche geo-culturali e che il racconto delle contraddizioni della propria patria non è nichilismo o anarchia culturale, ma speranza di un futuro umano e condiviso.
Fonte SIR