“Per loro si trattò di un errore; per noi fu una grave mortificazione”, lo racconta così, Iolanda Manzo, 96 anni, il bombardamento americano che il 13 ottobre 1943 distrusse le case e la vita di Alife.
Gli alleati, in risalita lungo l’Italia, cercavano i tedeschi e le loro linee difensive ma in questo caso colpirono solo i civili, le case, i beni che uomini e donne provavano a difendere pensando a come sopravvivere e come tirare a campare non appena la guerra sarebbe finita.
Già il 9 di quel mese, pochi giorni prima, un primo raid aveva ferito a morte alcuni civili nell’area poco fuori le mura romane che ancora oggi custodiscono il centro urbano. Era sera e i tanti cittadini rifugiati sulle colline di San Michele che dominano la valle sottostante avevano sentito il boato e visto la colonna di fumo alzarsi. Vivevano da diversi giorni lassù, al riparo dalle rappresaglie tedesche cercando di proteggere soprattutto gli uomini che l’esercito, ormai nemico dopo la firma dell’Armistizio, provava a catturare e portare via destinandoli sia alla costruzione delle linee di difesa che ai campi di lavoro nazisti. Nonostante la concitazione di quei giorni – le distruzioni perpetrate dai tedeschi pronti a ritirarsi e le incursioni degli aerei americani in fase di perlustrazione – la città rimaneva punto di riferimento fondamentale; dalle colline di San Michele infatti, a turno e furtivamente, gli alifani provavano a rientrare nelle loro case per qualche ora: in città erano rimasti gli animali domestici da accudire, conserve di cibo e riserve di farina a cui attingere; e poi i forni presenti in quasi tutte le abitazioni dove si entrava per impastare e cuocere, con l’orecchio teso ai segnali di rischio (il racconto nel video).
L’esposizione al pericolo correva di pari passo con il bisogno di nutrire tutti e chiunque si fosse rifugiato sulle colline poco distanti, “ammassati come animali” ricorda Iolanda. Anche il giorno del bombardamento avrebbero mangiato tutti insieme se non fosse arrivato il rombo e poi le esplosioni e poi la distruzione delle case nel quartiere Castello dove Iolanda era nata e dove vive ancora oggi. Avevano preparato gli gnocchi, “ma li mangiarono i tedeschi”, spiega tra il riso e robusta rassegnazione, perché dopo quei pesanti minuti di fuoco l’unico pensiero fu di rimanere nascosti in attesa che tutto finisse; lei e le cugine sue coetanee vennero imbracate e calate in una cisterna. I soldati avevano raggiunto i loro nascondigli ma non avevano trovato nessuno e si erano fermati a ristorarsi.
Aveva 15 anni quella mattina del 13 ottobre quando alle 12.02 i bombardieri americani B-26 partiti dalla Tunisia per supportare le truppe di terra che avevano superato il fiume Volturno e salivano verso Cassino, sganciarono su Alife 88 ordigni esplosivi.
“Alife eliminata” risultava sui rapporti militari del giorno seguente. Che si fosse trattato di un tragico errore perché Alife non nascondeva un accampamento tedesco, è storia successiva e ancora oggi motivo di riflessione.
Della casa di Iolanda rimasero in piedi solo le pareti; la solidarietà degli amici e dei parenti provvide a ricostruirne il tetto e lentamente a ricominciare. Dapprima sfollati, lei e i familiari trovarono alloggio in un’abitazione nei pressi della Cattedrale; quel maiale che avevano allevato ma che il caos delle bombe aveva disperso venne ritrovato grazie all’intervento di un paesano: “lo crescemmo, ne vendemmo la metà e quella servì per rifare il tetto alla casa. Vi entrammo, nonostante porte e finestre non fossero quelle di un’abitazione sicura”, lo racconta in dialetto, con lucidità e dettagli; in questo caso – rispetto ad un testo scritto sono poche parole e pochi aggettivi ma pregni di sfumature e significati (il racconto nel video).
La vita riprese lentamente, “e senza niente; senza l’aiuto del Governo…povero anche lui”, aggiunge quasi perdonando al Governo di allora le responsabilità di dolore e sofferenza che l’Italia patì. Parole dettate dalla sua gentilezza e ritrosìa nel dare giudizi severi. Mostra una foto della processione del patrono di Alife San Sisto I, papa e martire uscire dalla strada (oggi via Conte Rainulfo) dove abitava e dove caddero le bombe. Un corteo affollato su una carta ormai ingiallita che lei ammira con orgoglio; fa bene al cuore ancora oggi vedere tutta quella gente dopo il disastro capace di riprendersi la vita…proprio come aveva fatto lei, e come lentamente continuerà a fare insieme al marito negli anni successivi dedicandosi al piccolo commercio e all’arte del ricamo.
E le guerre di oggi? “Perché?”, si chiede insistentemente, mentre la sua solidarietà va a quei bambini che “sicuramente stanno soffrendo più di noi in quel tempo”. Il suo dolore si fa da parte; c’è spazio per chi, oggi, vive una nuova guerra. E nel frattempo alla tv comincia la recita del Rosario da Lourdes, l’appuntamento quotidiano che attraverso la preghiera la unisce all’umanità intera ogni giorno.
Io avevo 5 anni,mi ricordo quanto il bordamento e cominciato abiamo corso verso le montagne di Santo Michele