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La ricerca storica, rampa di lancio per una riflessione pastorale. Chi sono i vescovi? In che territorio viviamo? Che ruolo ha una Cattedrale?  

Sabato 19 ottobre nella Cattedrale di Alife è stato presentato il nuovo libro dello storico Armando Pepe “Le relazioni ad limina dei vescovi della diocesi di Alife (1664-1819)”

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La ricerca storica, lente d’ingrandimento su un passato che diventa messaggio per le comunità di oggi: dalle vicende della Chiesa di Alife in due secoli di storia si svolta facilmente fino ai nostri giorni con riflessione sulla vocazione popolare di una chiesa cattedrale e sulla paternità pastorale dei vescovi.  

È l’esperienza che emerge dal lavoro dello storico Armando Pepe ne Le relazioni ad limina dei vescovi della diocesi di Alife (1664-1819)” di recente pubblicazione, disponibile online o presso la Biblioteca Diocesana San Tommaso d’Aquino con sede a Piedimonte Matese.
Il libro è stato presentato il 19 ottobre nella Cattedrale di Alife con gli interventi di Luigi Arrigo, direttore della Biblioteca e dell’Archivio della Diocesi di Alife-Caiazzo, di Antonio Romano docente di Storia della Chiesa, don Emilio Salvatore Vicario episcopale per la cultura, la formazione e la comunicazione, e l’autore Pepe.
A quest’ultimo il merito di aver tradotto dal latino i documenti che i Pastori della Diocesi di Alife preparavano ogni cinque anni in occasione del periodico incontro con i Papi e della visita alla tomba degli apostoli (ad limina) secondo le nuove disposizioni del Concilio di Trento (1545-1563); in esse si informa Roma sulla vita della chiesa locale; esperienza che continua ancora oggi e vede periodicamente impegnati vescovi e collaboratori – secondo una logica di condivisione del lavoro pastorale ed amministrativo – riferire a Pietro lo stato di salute di ogni Diocesi oltre che uno spaccato del territorio in cui essa vive la sua missione.
Relativamente al periodo che l’autore sceglie di tradurre (in una precedente pubblicazione si era fermato allo studio delle Relazioni fino al 1659) “emerge con chiarezza uno spaccato storico, geografico, sociale e politico”, spiega Romano. Il prof di Storia della Chiesa sceglie di soffermarsi su una cupa fotografia territoriale che si protrae nel tempo: la Cattedrale di Alife, sorge nel mezzo di una comunità civica che gradualmente si riduce di numero; la Chiesa diocesana non brilla certo per la formazione e la preparazione del clero; in più il contesto ambientale – in particolare della città di Alife – appare sempre meno salubre e vivibile. Diversamente accade a Piedimonte, è quanto emerge dalle Relazioni, dove alla salubrità dell’aria corrisponde una società più vivace e sensibile: che sia merito di un ambiente culturalmente più dinamico, che si alimenta direttamente ai salotti della nobiltà locale connessa alla società del Regno di Napoli; incide senza dubbio anche la presenza in città di conventi e monasteri, fucina di studio e trasmissione del sapere. Il prof. Romano, ricuce alcune delle Relazioni prese in esame al contesto storico in cui esse sono redatte: non vi è vescovo di Alife al di fuori del tempo e della storia; ciascuno di essi infatti esprime il legame, la preoccupazione, il favore, la piena coscienza e conoscenza degli eventi storici su larga scala. La storia della Diocesi di Alife tra il 1664 e il 1819 non è disgiunta dai fatti che accadono in Italia (non ancora una nazione) e fuori di essa. 

“Eppure, nonostante le Relazioni ad limina si esprimano in favore della vicina Piedimonte; nonostante lo sforzo dei vescovi presso i Papi di mostrare un contesto presumibilmente più favorevole ad ospitare una nuova sede episcopale, la Cattedrale resta in Alife e sulle sue stesse macerie ne è ricostruita la storia”, il commento di don Emilio Salvatore. La riflessione si apre sugli interessi particolari dei Vescovi e sulle effettive prospettive: lavorano per se stessi o per il popolo? La nuova strada è tracciata da figure di Pastori come Giuseppe de Lazara (fu lui ad ordinare presbitero Giovan Giuseppe della Croce; sotto il suo episcopato venne realizzata la Solitudine a Monte Muto)  protagonista del terribile terremoto che nel 1688 rase al suolo il Sannio; poi il vescovo Angelo Maria Porfirio con il quale è ricostruita la Cattedrale distrutta dall’evento sismico e sono rinvenute le reliquie del patrono San Sisto I. Atto che restituisce la popolo una nuova dignità, e la certezza di ‘figli’ protetti. La comunità, seppur contrassegnata da un’identità fragile, come attestano i documenti in esame – più volte emerge dalle Relazioni ad Limina – si riscopre amata dal Pastore. La parentesi di brevi episcopati della famiglia Sanseverino che si ripetono in successione, non indebolisce l’idea del nuovo Vescovo che ha cura delle anime così come Trento precedentemente aveva fissato. Una delle figure prese in esame quella di Emilio Gentile, pastore nel lungo periodo dal 1776 al 1822. Don Emilio Salvatore passa in rassegna alcuni segni distintivi che in quel periodo o poco dopo sono apposti nella Chiesa cattedrale della Diocesi di Alife-Caiazzo: due antichi stemmi episcopali, la tela raffigurante San Sisto in gloria, un faldistorio, il coro ligneo, la sede episcopale, tutte opere in cui direttamente o indirettamente si ritrova la firma dei Pastori: “espressione di cura, di amore per la Chiesa locale che si sceglie di servire; manifestazione di attaccamento alla Diocesi e stimolo per i successori a fare altrettanto”.

Fuori dall’arco temporale che Armando Pepe offre attraverso la sua ricerca storica, il richiamo all’episcopato di mons. Carlo Puoti ispirato dal gigante Alfonso Maria de’ Liguori. Un incontro tra i due infatti, orienterà la scelta vocazionale di Puoti in giovane età ad entrare nella congregazione del Santissimo Redentore fondata appunto da Sant’Alfonso. Di lui il ricordo dell’impegno e della vicinanza al popolo piedimontese dopo l’alluvione del 1841 e durante l’epidemia di colera del 1837.  Come vescovo di Alife sceglie di essere sepolto nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Piedimonte: nonostante la Cattedrale di Alife sia cresciuta, la città ai piedi del Matese diventa stabilmente sede dell’episcopio. Eppure, confermano gli interventi “Il vescovo di una diocesi ha il diritto di poter essere seppellito nella sua cattedrale perché in essa si perpetua questo rapporto”, quello cioè di un “legame che va oltre il tempo con la Chiesa che hanno servito”

Conosciamo davvero chi è il vescovo? E quale ruolo incarna? E cosa rappresentano nei territori le chiese cattedrali? La ricerca storica (e le Relazioni ad limina ne sono la prova) si offre alla riflessione sociale, pastorale, teologica. Dai vescovi, i commenti passano all’identità di una cattedrale-parrocchia “espressione della popolarità della Chiesa; popolare ma anche nobile per le figure di pastori che l’hanno amata e servita”, ancora don Emilio Salvatore. 

Una storia che si scrive ancora oggi e continua nel tempo; non sono i terremoti a decretarne la fine o la fragilità dei suoi figli: “perché il problema di una Chiesa viva non sta nell’essere fragili e piccoli ma nell’essere appassionati di ciò che la Cattedrale manifesta”, la conclusione fa leva sulla memoria storia e pastorale che attraversa i secoli di ogni chiesa diocesana e si innesta in questo tempo presente. 

Come la storia, le carte, antichi documenti siano un corpo vivo, a disposizione di ricerche scientifiche, di approfondimenti pastorali; o come siano punti di partenza per ben più ampie riflessioni lo ha sottolineato il direttore della Biblioteca e dell’Archivio Luigi Arrigo. 

“Sono le fonti a fare la Storia, quella del passato e quella in cui siamo immersi in questo 2024”, le parole con cui Armando Pepe ha chiuso l’incontro intervenendo per un breve saluto a quanti hanno onorato, con la presenza, il suo ultimo lavoro. 

Alcuni approfondimenti storici già pubblicati su Clarus
> Piedimonte ed Alife sotto assedio. 1799, le violenze dei francesi sui borghi del Matese
> Mons. de Lazara, il vescovo di Monte Muto

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