Annamaria Gregorio – “Sapete che cos’è una baraccopoli? E’ un insediamento urbano molto popolato con degli edifici fatiscenti e condizioni di vita al di sotto degli standard di benessere; sono costruiti nelle periferie di grandi città anche ricche, con materiali di recupero e quasi assomigliano ad una vera e propria discarica; in un chilometro quadrato, in quella dove sono stato io, c’erano centomila persone, privi di acqua potabile e di smaltimento delle acque di scarico, di allacciamenti di energia elettrica dei vari servizi e delle condizioni igienico-sanitarie davvero indecenti”. Così padre Daniele Moschetti, missionario comboniano invitato alla Veglia interdiocesana di preghiera, tenutasi lo scorso 17 ottobre, presso la parrocchia di San Giovanni Evangelista di Pietravairano, ha introdotto la sua testimonianza, particolarmente toccante, raccontando brevemente i suoi undici anni con i baraccati di Kibera e Korogocho, nella periferia di Nairobi in Kenya. Qui un nome fra tutti veniva ricordato: Moses, un giovane di 24 anni ammalato ai polmoni, che era un catechista e che cercava di avvicinare i giovani e periodicamente incontrarli in questa realtà, così difficile e diversa dal nostro vivere quotidiano, facendo del bene a quella comunità, sempre con il sorriso; fu così amato e seguito che al suo funerale ci fu tantissima gente: un missionario che ha annunciato con la sua vita l’amore di Dio per gli altri. La voce di padre Daniele, nel racconto di questi episodi, è sicuramente molto pacata, ma dolorosa, ricordando anche il periodo in cui fu mandato nel Sud Sudan, il più giovane paese africano, purtroppo martoriato da una lunga guerra civile, dove lui è rimasto sette anni come superiore provinciale dei comboniani. Dopo una breve, ma intensa esperienza anche negli Stati Uniti, dove assieme ad alcuni confratelli di altre congregazioni ha svolto un Ministero di Giustizia, Pace e Riconciliazione presso l’ONU, è approdato in quel di Castel Volturno, dove dal 2019 si occupa principalmente di migranti. Molti sono i rifugiati, identificati spesso come quelli sbarcati sulle coste della Sicilia, dopo un lungo e penoso calvario nel deserto africano, passando per i “lager” della Libia. In questa nuova sede, insieme ad altri confratelli comboniani, vive nella quotidianità con loro e per loro, dando segni di speranza. Attraverso le storie di tanti, insieme all’Associazione Black&White” e alla Parrocchia S. Maria dell’Aiuto di Castel Volturno, ha organizzato uno spettacolo itinerante “Mare nostrum”, ispirato alle vicende di tanti migranti in fuga da guerre civili, povertà, soprusi. Advocacy, giustizia sociale, diritti, “voce di chi non voce”, ma soprattutto tanta umanità sono i suoi impegni in questa nuova “terra di missione”, per essere testimone di condivisione e speranza, per un modo di pace.
Alle parole del missionario hanno fatto eco quelle del Vescovo Mons. Giacomo Cirulli che ha presieduto la liturgia: “Questa sera sono pieno di gioia perché quello che abbiamo ascoltato viene da un testimone diretto: ecco come si annuncia il Vangelo con la vita, con un’esperienza che coinvolge la vita e non con ideologie; con il sostegno alla Chiesa e non con le divisioni”: essere missionari tutti, anche nel quotidiano l’impegno di autenticità chiesto dal Pastore.
E allora il monito di Papa Francesco “Andate e invitate al banchetto tutti” (Mc 22,9), tema dell’anno, ispirato alla parabola evangelica del banchetto nuziale, con queste testimonianze diventa più esemplare ed esorta maggiormente a portare il messaggio di amore e speranza del Vangelo in ogni angolo del Mondo.
Al termine della Veglia, come simbolo del banchetto evangelico in cui si realizza la condivisione fra tutti gli uomini, è stato donato un pane a tutti i presenti.