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Cosa cambia nella Chiesa? Il Documento finale del Sinodo dei Vescovi

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L’assemblea sinodale al termine dei lavori (Foto Vatican Media /SIR)

M. Michela Nicolais – Approvato con la maggioranza qualificata dei due terzi il documento finale della seconda sessione del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, svoltasi in Vaticano dal 2 al 27 ottobre e conclusosi con un discorso di Papa Francesco, che ha annunciato di non voler pubblicare un’esortazione apostolica ma di voler consegnare al “santo popolo fedele di Dio” il frutto di questi tre anni di lavoro, al cui ultimo tratto di strada hanno partecipato 368 padri e madri sinodali, di cui 272 vescovi e 96 non vescovi, riunitisi nei tavoli appositamente allestiti in Aula Paolo VI.

Il ruolo delle donne, lo statuto delle Conferenze episcopali, l’esercizio del ministero petrino nell’ottica di una “sana decentralizzazione” tra i temi presenti nel documento, che rispecchia l’andamento del processo sinodale, cui parallelamente si è affiancato quello dei dieci Gruppi di studio costituiti per volere del Papa, che continueranno ad approfondire le questioni più discusse fino al giugno 2025. Tra le proposte del documento, anche “una revisione della normativa canonica in chiave sinodale, che chiarisca tanto la distinzione quanto l’articolazione tra consultivo e deliberativo e illumini le responsabilità di coloro che nelle diverse funzioni prendono parte ai processi decisionali”.

Il ruolo delle donne nella Chiesa. “In forza del battesimo, uomini e donne godono di pari dignità nel Popolo di Dio. Eppure, le donne continuano a trovare ostacoli nell’ottenere un riconoscimento più pieno dei loro carismi, della loro vocazione e del loro posto nei diversi ambiti della vita della Chiesa, a scapito del servizio alla comune missione”. E’ quanto si legge nel documento finale a proposito del tema che ha provocato più dibattiti in Aula Paolo VI. “Le donne costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese e sono spesso le prime testimoni della fede nelle famiglie”, si legge al n. 60, che ha ricevuto il maggior numero di voti contrari di tutto il documento finale: 97. L’assemblea sinodale invita a “dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo. L’Assemblea invita inoltre a prestare maggiore attenzione al linguaggio e alle immagini utilizzate nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella redazione dei documenti ufficiali della Chiesa, dando maggiore spazio all’apporto di donne sante, teologhe e mistiche”.

Più figure femminili nei seminari. “Lungo il processo sinodale, è stata ampiamente espressa la richiesta che i percorsi di discernimento e formazione dei Candidati al ministero ordinato siano configurati in stile sinodale”. È quanto si legge al n. 148, approvato con 40 voti contrari. “Ciò significa che devono prevedere una presenza significativa di figure femminili, un inserimento nella vita quotidiana delle comunità e l’educazione a collaborare con tutti nella Chiesa e a praticare il discernimento ecclesiale. Ciò implica un investimento coraggioso di energie per la preparazione dei formatori”, si propone nel testo, in cui l’assemblea chiede una revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis “che recepisca le istanze maturate nel Sinodo, traducendole in indicazioni precise per una formazione alla sinodalità”.

Lo statuto delle Conferenze episcopali. “In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo a servizio dell’unità e del rispetto della legittima diversità”. E’ quanto si legge al n. 92 su una possibile “riforma” delle Conferenze episcopali.  “Tuttavia, non è incondizionata”, si precisa nel testo, in cui si definisce 2inadeguata una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo ufficio”. Per questa ragione, la proposta del documento finale, “la formula ricorrente nel Codice di diritto canonico, che parla di voto ‘solamente consultivo’ (tantum consultivum), deve essere riesaminata per eliminare possibili ambiguità. Appare quindi opportuna una revisione della normativa canonica in chiave sinodale, che chiarisca tanto la distinzione quanto l’articolazione tra consultivo e deliberativo e illumini le responsabilità di coloro che nelle diverse funzioni prendono parte ai processi decisionali”.

Il ministero petrino e la “decentralizzazione”. “La riflessione in merito all’esercizio del ministero petrino in chiave sinodale va condotta nella prospettiva della ‘salutare decentralizzazione’ sollecitata da Papa Francesco e richiesta da molte Conferenze Episcopali”. A ribadirlo è il n. 134 del documento finale, approvato con soli 18 voti contrari. Secondo la Praedicate Evangelium, si ricorda nel testo, tale decentralizzazione comporta “di lasciare alla competenza dei pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del loro proprio compito di maestri e di pastori le questioni che conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa”. Per procedere in questa direzione, la proposta del documento, “si potrebbe individuare attraverso uno studio teologico e canonico quali materie debbano essere riservate al Papa e quali possano essere restituite ai vescovi nelle loro Chiese o raggruppamenti di Chiese”. Tra i luoghi per praticare la sinodalità e la collegialità a livello della Chiesa tutta spicca il Sinodo dei Vescovi, che conservando la sua natura episcopale “ha visto e potrà vedere anche in futuro nella partecipazione di altri membri del popolo di Dio”.

SIR

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