Home Editoriali Basta un attimo e intorno è già Natale. La difficile arte dell’attesa

Basta un attimo e intorno è già Natale. La difficile arte dell’attesa

Ci sono uomini e donne, di diverse età che vivono l’attesa come tempo favorevole per crescere in umanità, per esprimersi come cittadini e non come consumatori, utenti, clienti?

76
0

Paolo Bustaffa – Già a fine settembre nei supermercati incominciavano ad apparire i primi richiami natalizi. Perfino le ricorrenze dei Santi e dei Morti, con i fiori, i lumini e i dolcetti, rischiano di essere travolte dai messaggi pubblicitari per le feste di fine anno. Sempre che non sia Hallowen a rimuoverli del tutto. Non è una novità, il rituale si ripete e sottrarsi alla logica del consumo compulsivo potrebbe costare l’allontanamento dalla categoria delle persone normali.

C’è un tema che fra i molti viene a riproporsi con il suo carico di perplessità e di domande ed è quello dell’attesa. Non si presenta solo nei supermercati ma soprattutto in questi luoghi appare la punta di un iceberg della fretta, della corsa al tutto e subito.

Che cosa rimane dell’attesa, di questa esperienza che porta a riflettere sul tempo, sul senso del vivere ogni giorno in pienezza, del declinare l’artificiale nelle scelte quotidiane senza smarrire la direzione del cammino umano? La domanda si confronta con i richiami che puntano ad accorciare i tempi per aumentare la spesa e rendono impazienti di fronte agli appuntamenti, in questo caso, di fine anno.

“Forse – scrive Alessandro Gisotti in prima pagine de L’Osservatore Romano del 10 ottobre – non abbiamo più voglia di aspettare. Soprattutto non vogliamo più attendere le cose a cui teniamo. Non riconosciamo più lo scorrere del tempo, ciò che rendeva ancora più desiderabile quanto volevamo ottenere. Ora vogliamo tutto e subito. E dopo che è finito quel tutto (parziale) che si è consumato troppo rapidamente siamo già proiettati sul prossimo tutto che altrettanto velocemente scomparirà”.

E così si perdono pezzi importanti della vita personale, di quella della famiglia e della comunità. Si rischia, come narrano i fatti cronaca, di bruciare le tappe anche nelle relazioni tra uomini e donne, di distruggere e di autodistruggersi nel possedere e consumare. Non bastano una critica e una condanna pur motivate e necessarie, si tratta piuttosto di pensare e proporre percorsi per non cadere nelle trappole della cultura mercantile.
Va imparata l’arte dell’attesa, un’attesa fiduciosa e operosa per non finire in una centrifuga culturale e sociale che annienta il tempo lento dell’ascolto, della preparazione, della condivisione.

Ci sono ancora maestri disposti a insegnare quest’arte che lo spirito del tempo cerca di mettere fuori gioco facendo prevalere la corsa per possedere, per conquistare? Ci sono uomini e donne, di diverse età che vivono l’attesa come tempo favorevole per crescere in umanità, per esprimersi come cittadini e non come consumatori, utenti, clienti?

Mario Calabresi, nel suo libro “Il tempo del bosco” presenta molti volti dell’attesa. Il bosco è una metafora della vita, con le sue ombre e le sue luci, i suoi rumori e i suoi silenzi, le sue sorprese e le sue regolarità, i suoi abitanti e i suoi immigrati.  In questo luogo, cioè nella vita, si entra e si cammina con rispetto, si ascoltano le voci e il silenzio. Con stupore si accoglie l’annuncio di un giorno nuovo. Si impara l’arte dell’attesa.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.