Onore al soldato Giovanni Abbraccio! L’eco della Seconda Guerra Mondiale si ripete ancora: nei ricordi ormai sempre più sbiaditi dei pochi testimoni diretti; nei racconti di chi ha raccolto memorie; in occasioni come queste in cui lo Stato raccoglie e premia i nomi di uomini e donne che negli anni tra il 1940 e il 1945 in particolare, furono protagonisti di fatti di dolore e sofferenze, ma anche di gesti di pace e soccorso.
Accade anche per Giovanni Michele Abbraccio in questo 4 novembre – Festa dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate – premiato con una Medaglia d’Onore dal Prefetto di Caserta Lucia Volpe. Nato ad Alife l’8 maggio 1920, soldato durante il Secondo conflitto sulla frontiera italo-jugoslava, poi inviato nei Balcani durante le operazioni di invasione della Jugoslavia con il 4° Reggimento Artiglieria, e dopo la firma dell’Armistizio l’8 settembre 1943, prigioniero in due campi di lavoro in Germania; successivamente, sempre da soldato, per le operazioni di liberazione dell’Italia accanto agli Alleati: per lui deceduto ormai nel 2002, i figli Maria Immacolata, Raffaele e Tommaso hanno ritirato questa mattina la Medaglia presso il Monumento ai Caduti della Città di Caserta, alla presenza di autorità militari e civili tra cui il sindaco di Alife Fernando De Felice. La Cerimonia, nella generale commozione, ha visto la presenza di diversi medagliati (parenti o diretti interessati), in una delle giornate simbolo della storia italiana; il 4 novembre 1918, infatti al termine della Prima Guerra Mondiale, entrava in vigore l’Armistizio di Villa Giusti che consentiva agli italiani di rientrare nei territori di Trento e Trieste, e portare a compimento il processo di unificazione nazionale iniziato in epoca risorgimentale. Nel 1922 questa data fu dichiarata “festa nazionale” per fare memoria dei Caduti in guerra; da allora si ripetono in città e paesi commemorazioni presso i monumenti che ricordano il sacrificio di militari e civili nei conflitti che hanno segnato il Paese.
La storia del soldato alifano
Aveva trascorso la giovinezza aiutando il padre e i fratelli nel lavoro agricolo coltivando i terreni di proprietà “Ferrucci” fuori le mura cittadine, presso Porta Roma. Non aveva avuto il tempo di essere bambino e giocare perchè la severità paterna era stata da sempre richiamo al duro lavoro; venne il tempo di essere soldato, poi “trattenuto alle armi” – si legge nel suo sbiadito foglio matricolare – quando l’Italia entrò in guerra accanto alla Germania. Altra esperienza dura, di faticosa obbedienza…
La firma dell’Armistizio cambiò le sorti di molti: se il Paese “riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta” sceglieva di arrendersi agli alleati e di combattere per la libertà da ogni regime, dovette prendere atto del caro prezzo di quelle decisioni.
Giovanni Abbraccio e con lui migliaia di giovani soldati, accusati di essere stati traditori della prima alleanza, furono fatti prigionieri e deportati tra Polonia, Germania, alcuni in campi di concentramento, altri in campi di lavoro: quest’ultima fu la sorte che toccò a Giovanni Abbraccio dall’ottobre 1943 a dicembre 1944. Ed è soprattutto per la difficile storia di quei lunghi mesi che oggi viene onorato dallo Stato Italiano dopo che i figli ne hanno segnalato la vicenda.
Venne arrestato in Montenegro il 2 ottobre 1943 dalle truppe tedesche ed internato in Germania nel campo di Weissenthurn per lavori agricoli; successivamente trasferito a Bitterfeld (Wolfen) come operaio per la costruzione di una linea ferroviaria. “Per tutto il tempo ero sorvegliato dalle SS e detenuto in condizioni di prigionia a dir poco disumane, in condizioni igienico sanitarie gravemente insufficienti e con scarsa alimentazione”, questa la sua memoria consegnata ai figli nel tempo, e da essi allegata alla documentazione trasferita di recente alla Prefettura di Caserta. Non ha mai voluto raccontare granché di quei mesi; come tanti soldati prigionieri, anche lui per tutta la vita ha messo sotto chiave il dolore di quel tempo. Poche parole, ricordano oggi i figli, sfuggitegli occasionalmente, ma sufficienti a capire di cosa si sia trattato. Durante la prigionia venivano nutriti con brodo o solo pane, neppure tutti i giorni; nel frattempo, sotto minaccia delle armi, bisognava svolgere il proprio duro lavoro… La testimonianza resa alle Autorità italiane per l’ottenimento della Medaglia, chiama in causa una serie di nomi, altri soldati come lui, tra cui un altro alifano, Michele Vitelli. Quanto raccontato risulta inoltre conservato negli archivi della Repubblica Federale Tedesca come prova della sua prigionia e del lavoro svolto.
La liberazione dai campi tedeschi per Giovanni significò ancora sacrificio, e non sappiamo con quanta consapevolezza sia emotiva che ideologica: la guerra sul fronte balcano e i successi mesi di prigionia lo avevano tenuto troppo tempo lontano dalla vita del suo Paese e dalla possibilità di capire fino in fondo. In ogni caso tornò ad onorare la sua prima chiamata, partecipando dal 9 dicembre 1944 al 25 aprile 1945 alle operazioni di guerra di liberazione con la formazione partigiana “Iª Brigata Italia”, con la qualifica di “Partigiano combattente compagno di Guerra”.
Rientrò ad Alife; per lui la vita ricominciò in compagnia di Lucia Coluni, che di lì a poco sarebbe diventata sua moglie.
Il primo “onore” che gli fu conferito dopo la Guerra fu quello di Patriota su un certificato che porta la firma del Maresciallo Harold Rupert Alexander, Comandante supremo alleato delle Forze del Mediterraneo Centrale, uomo in vista, protagonista della firma dell’Armistizio, nonché del coordinamento delle battaglie di liberazione dell’Italia: il documento certifica l’impegno accanto agli Alleati “svolgendo operazioni offensive, compiendo atti di sabotaggio, fornendo informazioni militari”, la prova che la guerra di dopo fu altrettanto ferocie. “Nell’Italia rinata, si legge ancora, i possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà”.
Ma l’onore suo più grande furono la famiglia e la possibilità di tornare a lavorare quei campi da cui era partito. Negli anni in cui si ricostruiva l’Italia, lui piantava semi, aveva cura delle cose più care, attendeva il raccolto, godeva dei frutti che la campagna alifana non risparmiava a nessuno. Quante volte si sarà rivisto, riavvolgendo la memoria, mentre dava colpi di zappa durante i lavori forzati in Germania! Non lo ha rivelato a nessuno; aveva deciso, fin da subito di rimuovere la guerra da ogni piacevole condivisione…