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“Il mondo è cambiato, la missione e la Chiesa devono cambiare”, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, sguardo globale sull’esperienza dei cattolici

Come vivere e testimoniare il Vangelo in un’epoca di trasformazioni rapidissime, di secolarizzazione forzata? L'intervista all'arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini: il focus sulla "Diocesi più grande del mondo" sfiora visibilmente ogni piccola o grande Chiesa

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L’Arcivescovo di Milano Mario Delpini alla GMG di Lisbona, 02.08.2023.
Foto SICILIANI/GENNARI-SIR

Gianni Borsa – “Non è la stagione dei frutti”, eppure “lo Spirito sta preparando i santi del cambiamento d’epoca”. Mons. Mario Delpini fornisce alcune chiavi di lettura in vista della prima assemblea del Cammino sinodale in programma a Roma dal 15 al 17 novembre. Ordinato sacerdote nel 1975, vescovo ausiliare dal 2007, nel 2017 è nominato da Papa Francesco arcivescovo di Milano. È presidente della Conferenza episcopale lombarda. Le sue riflessioni abbracciano la realtà ecclesiale milanese e regionale e allargano lo sguardo alla Chiesa italiana. Non mancano sottolineature sulla secolarizzazione, sulle difficoltà e i ritardi che attraversano la Chiesa, sul clero e sul laicato. E non trascura di “riconoscere che ‘tre sinodi in una volta’ sono un po’ troppi”

È possibile tracciare un bilancio provvisorio di questi primi tre anni di cammino sinodale nella diocesi più grande del mondo?
Ci si domanda: quale ardore, quale stupore, quale timore segnano le nostre comunità e l’intera diocesi “più grande del mondo”? Uno sguardo superficiale può riconoscere soprattutto segni di stanchezza e di scoraggiamento.
Le statistiche dicono di numeri che si riducono, di lontananze che crescono tra la Chiesa e il contesto in cui è presente. Ma uno sguardo più attento, capace di vedere la verità della Chiesa, riesce a cogliere le situazioni e le persone nella luce di Dio.
Così, ad esempio, lo Spirito vede il popolo immenso di coloro che sono coinvolti nelle Assemblee sinodali decanali: sono pieni di stupore per il bene che vedono dappertutto, per una carità generosa, operosa e intelligente all’opera nel nostro territorio. Lo Spirito vede lo sconfinato bisogno di consolazione che geme in ogni angolo della terra. Lo Spirito vede la fiducia popolare verso la Chiesa, nonostante molti si ostinino a descrivere come antipatica, antiquata, in declino. Lo Spirito vede giovani germogli di voglia di partecipare, di farsi avanti per assumere responsabilità negli organismi di partecipazione di ogni comunità.

E la comunità cristiana? E i laici? I consacrati? Il clero?
Lo Spirito raccoglie il gemito e il sospiro di comunità cristiane, laici, laiche, preti, diaconi, consacrati e consacrate che avvertono l’inadeguatezza delle risorse disponibili: soffrono la frustrazione di convocazioni disattese, di parole sante ma forse logore, di ambienti vuoti senza destinazione. Si interrogano sulla folla che chiede i sacramenti, che elogia gli oratori, che pretende i preti: sono segni di futuro o inerzie del passato?

È vero – come si sente dire – che i preti sono i meno convinti del cammino sinodale?
I preti sono destinatari di troppe pretese e di troppe critiche. I preti, come del resto anch’io, sono stati richiesti di troppe consultazioni: la consultazione promossa per il Sinodo dei vescovi, la consultazione per la fase narrativa dei percorsi della Chiesa italiana, gli orientamenti diocesani per l’attuazione del Sinodo minore “Chiesa dalle genti”… Si deve riconoscere che “tre sinodi in una volta” sono un po’ troppi. I preti, ai quali si chiede di tenere tutto insieme, hanno qualche ragione per un certo scetticismo. Ciononostante molti preti non si sono tirati indietro, insieme a uomini e donne toccati dal fuoco di una missione urgente fuori dal recinto della parrocchia o del proprio gruppo.

Quali difficoltà e nodi critici le sembra siano emersi?
Nella società in rapida evoluzione, nella novità epocale della presenza multietnica, nel dilagare dell’epidemia di un individualismo arrogante è emersa la lentezza del pensiero e dell’azione di comunità cristiane troppo affaticate a custodire l’esistente. L’urgenza di unire le forze trova la resistenza dei campanilismi e delle inerzie, dell’individualismo e dell’autoreferenzialità. La forza innovativa della generazione giovane è impacciata da paure e smarrimenti.

Quali, invece, i segni di novità, quali slanci nel percorso dalla fase “narrativa” alla fase “sapienziale”?
La Chiesa è missione. La missione è per il mondo. Il mondo è cambiato. La missione e perciò la Chiesa devono cambiare. La Chiesa ambrosiana ha percorso in questi anni un sentiero di interrogativi, di riforme e di fatiche che possiamo nominare.
Uno dei cambiamenti più evidenti è la mobilità della gente e le migrazioni dei popoli. Nasce nella nostra terra una popolazione multietnica.
Perciò la Chiesa ambrosiana si è definita “Chiesa dalle genti”. Infatti tra coloro che migrano da molti Paesi non pochi sono dell’unico Signore, dunque convocati per essere un cuore solo e un’anima sola, quindi un’unica Chiesa. Quindi un’unica missione per dire il Vangelo oggi, qui. Quello che resta un percorso di sapienza e di profezia è come dire il Vangelo a un mondo che, oggi come ieri, non lo vuole ascoltare.

L’Arcivescovo di Milano Mario Delpini alla GMG di Lisbona, 02.08.2023.

La chiesa diocesana è dunque cambiata?
La narrativa che riconosce la Chiesa cattolica come presenza capillare e incisiva nel territorio racconta di una evoluzione che si caratterizza per mobilità e pluralità di appartenenze. L’interpretazione sapienziale ha suggerito che è necessario, per quanto arduo, tenere insieme la capillarità della presenza delle parrocchie e la pastorale di insieme per abitare territori più ampi e ambienti quotidiani che sembrano estranei. La costituzione delle Comunità pastorali, intrapresa da tempo nella diocesi di Milano, nasce dall’audacia di unire la vita delle parrocchie alla vita della gente che si muove senza sosta e che “abita dappertutto”.

Eccellenza, molta gente rimane però estranea alla comunità cristiana, anche se ne apprezza i servizi: la Chiesa diventa una “stazione di servizi”, insignificante rispetto al pensiero, alle scelte e alla vita quotidiana?
La secolarizzazione si può leggere come la cronaca di una sconfitta e di un declino. La sapienza evangelica riconosce il compiersi delle parole di Gesù che indica la presenza del Regno con le immagini del pizzico di sale, della piccola luce. La domanda quindi non è quanti siamo, ma se il sale conservi il suo sapore e se continui ad ardere il fuoco.

E dunque arde il fuoco?
Una intuizione audace, suggerita dallo Spirito, ha dato vita nella Chiesa ambrosiana ai “Gruppi Barnaba”. Lo stupore e la gioia di vedere all’opera lo Spirito di Dio hanno poi convinto a costituire le Assemblee sinodali decanali, una pratica sinodale disegnata dalla missione. Queste Assemblee vorrebbero incarnare la docilità al Signore che continua a mandare i suoi discepoli ad annunciare il Vangelo e a seminare la pace: agnelli in mezzo ai lupi, debolezza in cui potrà forse manifestarsi la potenza di Dio. Noi questo abbiamo da dare: il Vangelo di Gesù.

Quali possibili frutti intravvede dal Sinodo per la vita della Chiesa e per la testimonianza cristiana in questo “cambiamento d’epoca”?
Non è la stagione dei frutti. Certo, immagino, lo Spirito renderà la Chiesa bella come la fidanzata dell’Agnello. L’attrattiva è il dono che invochiamo. Immagino cioè che ci sono e ci saranno i santi. Lo Spirito sta preparando i santi del cambiamento d’epoca.

All’apertura della terza e ultima fase del Cammino sinodale, quella “profetica” – e mentre si avvicina il Giubileo 2025 –, come vede il futuro delle Chiese in Lombardia?
Corrono, corrono, gli uomini e le donne del nostro tempo. Ma dove vanno? E noi dovremmo inseguirli per essere “al passo con i tempi”? La profezia è piuttosto una contestazione, una parola coraggiosa e forse antipatica. Noi non abbiamo altro da dire se non che Gesù è risorto, è vivo, ci rende partecipi della sua vita.

Che cosa serve affinché siano espressione di una Chiesa realmente “missionaria”, seminatrice di speranza e in sintonia con le sfide del nostro tempo?
Il fondamento essenziale per la nostra fede e per la nostra missione, cioè Gesù risorto, sembra ridotto a una nozione del catechismo, piuttosto irrilevante. Alla gente che corre e corre, e non sa dove va, noi abbiamo da dire che andiamo insieme verso la vita, la vita di Dio. Noi cristiani siamo originali: mentre quelli che si ritengono intelligenti suggeriscono come vertice dell’intelligenza lo scetticismo e la rassegnazione, noi riteniamo che la vera sapienza sia Gesù, cioè il fondamento della speranza. E poi, dicendo di Gesù, dobbiamo annunciare che la speranza non è un destino, ma una vocazione, cioè la parola di Gesù che chiama per nome a seguirlo e a vivere con Lui e per Lui. E un po’ anche come Lui. Quindi tre parole: speranza, vocazione, amore.

SIR

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