Noemi Riccitelli – “Io c’ero, pur non essendo comunista”, il commento-confessione di un vicino di poltrona in una piccola sala cinematografica, il cui pubblico è compreso tra i 60 e i 70 anni, tutti probabilmente testimoni di quegli eventi che scorrono cadenzati sullo schermo e agli occhi di una giovane trentenne sembrano così incredibili, genuini, specie se paragonati a quello che la propria generazione ha esperito negli ultimi venti anni.
Questa è l’esperienza di visione di Berlinguer – La grande ambizione, prima pellicola dedicata al politico e presidente del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer.
Il film di Andrea Segre, presentato nel corso dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, ha come protagonista Elio Germano, che ha ricevuto il premio Vittorio Gassman al Miglior Attore per la sua interpretazione.
Roma, 1973-1975. Berlinguer (Elio Germano), andando controcorrente rispetto alla rigida demarcazione socio-politica imposta dalla Guerra Fredda, tenta insieme ai compagni di partito di arrivare al governo del Paese, aprendo alla possibilità di dialogo e collaborazione con gli storici avversari della Democrazia Cristiana, fino all’eclatante Compromesso Storico.
Guardando Berlinguer-La grande ambizione è inevitabile rimanere affascinati e stupiti da come un tempo la politica sia stata realmente un faro nella nebbia per tanti cittadini che cercavano un riferimento, una guida, un esempio.
E il sentimento che gli spettatori, nonostante la trasversalità generazionale, provano è la nostalgia.
Quella nostalgia per tempi mai vissuti o la nostalgia proprio per quei tempi così vissuti, che non reggono il confronto con un presente vuoto, almeno istituzionalmente.
Umanità, lealtà, partecipazione: sentimenti e situazioni che, vivide, strabordano dalle sequenze in cui la pellicola dialoga con documenti e immagini di repertorio, che Segre insieme al montaggio di Jacopo Quadri, dirige in modo sapiente e oculato.
Il profilo di Berlinguer viene ritratto nella sua dimensione privata e pubblica, ma lo scarto tra le due realtà è ridotto al minimo, perché le azioni e i pensieri del presidente sono sempre stati ispirati da una tenerezza, amore e sincerità autentici che annullavano, di fatto, la distanza con gli elettori, chiamati, del resto, “compagni”, facendo sì che famiglia e partito divenissero sinonimi.
Infatti, ciò che emerge, sia dalle immagini documentaristiche e poi anche enfatizzato dalla rappresentazione fittizia, è la totale fiducia delle persone comuni, dei cittadini, nei rappresentanti del partito: un partito che prima di pensare a sé stesso, teneva realmente alla collettività (lo dice lo stesso Berlinguer in una battuta, “il capitalismo si base sulla competizione, il socialismo sulla collaborazione”).
E, poi, la viscerale passione politica dei funzionari del partito stesso: la lucidità nell’analisi dei voti, la reciprocità e l’entusiasmo negli incontri con la gente, una realtà quotidiana di vera dedizione al prossimo, che reca in sé un messaggio quasi evangelico (come sottolinea, per giocosa provocazione, Letizia, moglie di Berlinguer, interpretata da Elena Radonicich).
Elio Germano offre una brillante prova d’attore: lo sguardo vivace e aperto, mai sopra le righe, una mimica fedele e rispettosa, che fa rivivere con gusto una figura esemplare.
Accanto a lui un cast d’interpreti che riescono a cristallizzare personaggi storici con tutte le loro peculiarità: Giorgio Tirabassi è Alberto Menichelli, capo della vigilanza del PC in via Botteghe Oscure a Roma, Francesco Acquaroli è Pietro Ingrao, partigiano, funzionario del PC, presidente della Camera dei deputati, Fabrizia Sacchi è Nilde Iotti, Paolo Pierobon è un sempre iconico Giulio Andreotti.
Berlinguer – La grande ambizione è l’esempio di quel cinema di impegno civile, di tentativo di sensibilizzazione e apporto alla conoscenza che si rendono necessari in questa contemporaneità, in cui è facile gridare allo scandalo per una vittoria politica indigesta ai più, ma sembra così complesso, invece, assumersi responsabilità per azioni e opportunità mancate, per programmi e idee che non hanno al centro il vero protagonista del cambiamento, della democrazia, il popolo.
Un racconto unico e vibrante, emozionante, che lascia lo spettatore sensibile con una suggestione, riprendendo, del resto, quella riflessione di Antonio Gramsci, che apre il film, e da cui deriva il titolo stesso: “Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (de proprio particulare) contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo)”; la politica riparta dalle persone dunque, questa sì è la buona, giusta ambizione.