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Con l’8×1000 della Chiesa Cattolica, dal 1991 a oggi sostenuti oltre 18.000 progetti in 108 Paesi

Il racconto dalla voce dei protagonisti da Libano, Madagascar e Siria: grazie all'8xMille realizzati concreti segni di speranza e aperte strade per il futuro in luoghi di fame e dolore

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Affrontare il dramma della povertà multidimensionale con azioni concrete e generative, capaci di coinvolgere, promuovere e dare frutti. È quello che fa la Chiesa cattolica italiana: dal 1991 a oggi, con i fondi dell’8xmille, ha sostenuto oltre 18.000 progetti in 108 Paesi per più di due miliardi e mezzo di euro. Sono segni di solidarietà – viene ricordato in vista della Giornata mondiale dei poveri – che seminano speranza e si realizzano anche grazie a tanti volontari, sacerdoti, persone consacrate, laici e laiche.

 Le storie 
Tony è volontario di Caritas Lebanon Youth, il dipartimento giovani della Caritas libanese. È stato fra i primi a prestare soccorso dopo l’esplosione del 2020: “Avevo 21 anni e ho coordinato 1.200 volontari. Per 64 giorni dal momento dell’esplosione, io e gli altri volontari, soprattutto i team leader, non siamo mai tornati a casa. Chi poteva andava dalle proprie famiglie alle 4 del mattino, giusto il tempo di una doccia e di un caffè, per poi mettersi nuovamente in servizio. Siamo stati nei centri operativi 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Questa è stata la mia vita per più di due mesi. Oggi la guerra ha tolto la speranza a tanti giovani che nonostante tutto credevano ancora nel dialogo costringendoli all’esodo. Non li biasimo, capisco la loro scelta. La mia, per ora, è di restare. Ma non so fino a quando”.

Carmen ha lasciato il cuore in Madagascar, a Nosy Be, dove ha svolto un periodo di volontariato in una scuola della Congregazione di San Giovanni Battista per insegnare l’italiano a 600 bambini e dare loro la possibilità di un futuro lavorativo nel settore del turismo. “Saranno stati – racconta – i tramonti, i cieli stellati, i paesaggi e i profumi speziati. Saranno state l’allegria e l’accoglienza delle suore, l’amicizia nata con gli altri volontari, o forse i bambini che chiedono tanto affetto e in cambio ti regalano un amore che non meriti. Saranno state le loro storie ad entrarmi dentro, quelle di povertà estrema e di abbandono. O forse le ore di lezione d’italiano passate a giocare e ad imparare insieme, o i momenti di ricreazione in cui diventavamo compagni di gioco e di ballo. Comunque sia, da tutto questo ho imparato che nonostante la fatica di alzarsi all’alba, la scomodità di riempire secchi d’acqua dal pozzo per lavarsi, c’è una semplicità della vita che dà pienezza”.

Alcuni volontari sono stati vittime a loro volta, come Rose che ora è consulente psicologica. “Sono fuggita dal villaggio di Al Yacoubieh nella provincia di Idlib dal 2012. Abbiamo lasciato tutto e ci siamo diretti a Latakia. Non potrò mai dimenticare il calore con cui siamo stati accolti dai frati francescani. Rimarranno sempre nella mia memoria i momenti che ci hanno ridato un po’ di serenità: imparavamo e ci divertivamo insieme, condividendo i momenti più allegri e quelli più difficili, proprio come una grande famiglia. Avevamo anche sessioni psicologiche speciali che ci aiutavano a superare il trauma dell’evacuazione dai nostri villaggi. Oggi, grazie ai miei studi, sto cercando di restituire un po’ di quanto ho ricevuto, accompagnando e sostenendo 20 bambini orfani del progetto ‘Casa dei Bambini’, in un percorso terapeutico che consenta loro di elaborare la drammaticità di quanto hanno vissuto e ricominciare a vivere in un ambiente il più familiare possibile, contenitivo, che sia in grado di ridare prospettive e fiducia a questi bambini vulnerabili”.

Fonte SIR

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