Emilio Salvatore* – State tranquilli, non voglio in alcun modo elencare tutti gli appuntamenti che ci aspettano. Non è questo il luogo (e forse già li conoscerete o state per riceverne comunicazione). Vorrei invece per un attimo provare ad esprimere da una parte il sentire comune dei fedeli e dall’altra le attese ed anche le preoccupazioni dei pastori. Non possiamo negare che ci sia una certa resistenza ai programmi calati dall’alto e una sorta di ansia da prestazione sul. Ciò è del tutto comprensibile. Il rischio è di unire iniziative ad iniziative, rischiando di polverizzare l’ennesima occasione di grazia. Forse invece bisogna ripensare l’agenda del 2025 posta dinanzi a noi con atteggiamento di disponibilità e di discernimento. Per una particolare (e provvidenziale) coincidenza il Giubileo della speranza si intreccia con il Sinodo della Chiesa italiana. Cosa vuol dire questo per tutti noi? Cosa hanno compreso i cristiani della domenica (pochi o tanti che siano)? Cosa può voler dire per noi, tre diocesi unite in un cammino carico di attese, ma anche possibilmente ricco di scoperte e di sorprese?
Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, come giustamente affermano i Lineamenti (che sono già il frutto del cammino della fase narrativa con le relazioni delle diocesi e del lavoro del Comitato nazionale nella fase sapienziale), si inserisce nelle diversi esperienze del “convenire ecclesiale”, che negli ultimi 50 anni (dal post-Concilio in poi) ha assunto la forma sia dei Convegni ecclesiali decennali (abitualmente collegati ad un “piano pastorale”), sia della possibilità di attuare dei Sinodi a livello diocesano. La novità sta nel singolare processo di confronto circolare ossia in uno scambio continuo tra il centro e la base, con un coinvolgimento dei vari soggetti ecclesiali. A pochi giorni dalla prima assemblea che si è celebrata secondo lo stile della conversazione spirituale ormai ben noto, comprendiamo l’importanza di questo percorso. DI che cosa si tratta? Di “cammino ecclesiale” assai più aperto rispetto ad esperienze del passato ed anche meno strutturato e in qualche modo predefinito. Non possiamo negare che sono emersi nei confronti e attendono limatura nella stesura i nodi critici che appesantiscono la presenza della Chiesa e del cattolicesimo nel nostro paese e che richiedono un tentativo quanto meno di avvio di scioglimento. Tale lavoro attende la fase di riconsegna del documento alle diocesi e poi la votazione nella Seconda assemblea plenaria che si terrà in primavera. Chi ha lavorato anche nel piccolo al percorso, sa quanta fatica ma anche quanto entusiasmo si è creato tra gli estensori, meno forse nelle nostre diocesi e parrocchie (ove tutto a volte sembra consumarsi o sullo scontato o su una sorta di cannibalizzazione di mode), chiamando le cose con il proprio nome e entrando in una dimensione assolutamente “creativa” nel senso ovviamente teologico del termine, ossia legata all’azione ispiratrice e rinnovatrice dello Spirito. Mi ha colpito molto quello che ha detto recentemente il nostro vescovo, Mons. Giacomo Cirulli ai vicari episcopali riuniti per programmare i prossimi impegni: “Questo documento è diverso dai precedenti fa il punto con estrema franchezza sulla nostra situazione e sul lavoro che ci attende per il futuro!”.
Passando poi al Giubileo del 2025, nato sin dalla bolla di indizione con una prospettiva di speranza, manifesta allo stesso modo le attese del mondo di oggi che sono anche le aspettative della comunità cristiana. Nel nostro tempo non mancano le attese nel quotidiano dipanarsi delle vite, ma sembra a volte di essere consegnati ad uno sperare effimero e disperso, perché ovunque assediati e corrotti dal miraggio di un consumo continuo. L’io ha la meglio sul noi, il profitto privato sul bene comune. La questione tocca l’asse orizzontale della speranza quello che da Abramo sino a Gesù attraversa la Bibbia e innerva la vita credente e cristiana di una concretezza, che non spiritualizza, ma lotta per i beni del creato e del progresso, pur nella consapevolezza di un’attesa più grande. A volte sembra che il futuro da lineare si sia in qualche modo ripiegato su stesso in una sorta di presente disperato e mai sazio. Tutto è bisogno da soddisfare e nulla è desiderio, progetto, narrazione più ampia capace di tenere insieme io e noi, uomo e Dio, radici di memoria e ali del presente. Il cammino si è interrotto, si è accorciato, ma senza nessuna vera conquista degna dell’uomo e della sua dignità di cristiano. La Speranza con la “s” maiuscola, alla quale il Papa ci vuole far guardare, ci permette di agganciare come un’ancora ma non bloccante quanto tirante verso l’alto la barca della nostra esistenza. L’asse trascendente della Speranza ha una funzione liberatrice. Il legame con Dio, speranza del suo popolo, che nel mistero pasquale della morte e risurrezione svela sino in fondo il suo progetto di salvezza produce gioia e pace anche in mezzo alle difficoltà e alle prove della vita (cf Rm 12, 12), perché riposa su una relazione più grande.
Cosa hanno in comune il Sinodo italiano e il Giubileo della Speranza? Proprio l’immagine del cammino di un popolo che sa di dover o poter attraversare a volte deserti e luoghi rocciosi, come l’Israele biblico, ma nell’andare non si smarrisce, ma rinnova la tensione delle sue speranze grazie alla Speranza che è stata riversata nel suo cuore per mezzo dello Spirito Santo (cf Rm 5,5). In tal modo non abbiamo paura né dei cambiamenti necessari a livello di strutture, di linguaggi, di attenzioni da mettere in atto nelle nostre diocesi e nelle nostre parrocchie, né delle fatiche del viaggio, anzi pellegriniamo lieti e forti nella tribolazione perché la piccola sorella tra le tre virtù, come dice Peguy, ci tiene per mano. Quindi con una battuta vorrei rassicurare: Iubilaeum non confundit!
*Vicario episcopale per la Cultura, la Formazione e la Comunicazione delle Diocesi di Teano-Calvi, di Alife-Caiazzo e di Sessa Aurunca