Noemi Riccitelli – Al cinema e in piattaforma.
Due visioni che riescono a scaldare il cuore in questo inizio di Avvento, raccontando la vita e la Storia dal punto di vista dei bambini, seguendo la trama di due vicende dai toni forse diversi, ma che racchiudono in sé quello spirito fiabesco e meraviglioso che caratterizza l’infanzia.
Entrambe le pellicole si svolgono a Napoli, nel pieno del Secondo Dopoguerra, luogo di addii, di disperazione, ma anche di inestimabili tesori umani.
Il treno dei bambini di Cristina Comencini e Napoli-New York di Gabriele Salvatores sono disponibili, il primo, su Netflix dal 4 dicembre, dopo essere stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, il secondo invece al cinema dal 21 novembre.
Il treno dei bambini è tratto dall’omonimo romanzo di Viola Ardone, che racconta l’esperienza dei cosiddetti “treni della felicità”, un’iniziativa solidaristica promossa dal Partito Comunista Italiano con la collaborazione dell’Unione delle Donne in Italia, nel Secondo Dopoguerra.
L’esperienza era rivolta ai bambini italiani, provenienti specialmente dal Sud Italia, che usciva martoriato dopo l’avanzamento delle truppe Alleate, tra bombardamenti e combattimenti, trovandosi ancora più povero rispetto all’ante guerra.
Così, le famiglie prive di mezzi e risorse, aderirono a questa iniziativa lasciando che i loro figli partissero verso le Regioni del Nord Italia, dove altri nuclei familiari potevano prendersi cura di loro, tra cibo ed istruzione.
Per molti bambini questa rappresentò l’occasione della vita, perché tanti di essi rimasero a vivere, studiare e lavorare nei luoghi dell’accoglienza.
A Napoli, nel 1946, Antonietta (Serena Rossi) e suo figlio Amerigo (Cristian Cervone) vivono alla giornata, unici superstiti della famiglia Speranza.
Antonietta, avvilita dalle ristrettezze, decide di mandare Amerigo a Modena, tramite il “treno della felicità” organizzato dal PC, in modo che il ragazzino possa trascorrere l’inverno e la primavera in serenità.
Ad accoglierlo, ci sarà Derna (Barbara Ronchi), ex partigiana, inizialmente riluttante all’iniziativa, ma la quale scoprirà presto il valore di Amerigo.
Una scrittura lineare, semplice, quella della penna della stessa Comencini, insieme a Furio Andreotti, Giulia Calenda e Camille Dugay, ma che riesce a rappresentare in modo chiaro tutti i profondi sentimenti di una storia vera.
Il treno dei bambini, infatti, è una scatola di emozioni: disperazione, spaesamento, ma anche speranza, crescita, opportunità.
È toccante osservare l’incontro tra i bambini e le loro nuove famiglie: diffidenti all’inizio, ma poi sempre più inseriti nella nuova realtà, che appare loro così strana: unica la sequenza del “salame rosa”, la mortadella, che i piccoli partenopei credono essere piena di muffa, per via del pistacchio verde. Una prelibatezza che loro non hanno mai conosciuto.
I sentimenti, tuttavia, riescono ad emergere con vividezza anche tramite le interpretazioni di un validissimo cast tutto italiano: Serena Rossi e Barbara Ronchi in testa offrono performance brillanti, commoventi; due donne che scoprono, ciascuna a suo modo, come la maternità e l’amore possano essere declinati in forme diverse, impensabili talvolta.
E che dire del piccolo Cristian Cervone, che riesce a parlare solo con lo sguardo, così come per la sua controparte adulta interpretata da Stefano Accorsi: per lui poche sequenze, ma incisive e toccanti.
La caparbietà, l’intuizione e la passione di Amerigo riescono a condurlo oltre un destino di sofferenza e negazione, così come avviene anche per i due piccoli protagonisti di Napoli-New York di Gabriele Salvatores.
Quest’ultimo film, tratto da un soggetto di Federico Fellini e Tullio Pinelli, possiede sin dalla sua origine un qualcosa di magico: infatti, il manoscritto fu ritrovato dallo stesso Pinelli tra diverse scartoffie e quando Salvatores ne è entrato in possesso si è lasciato coinvolgere da questa bella storia tratta dalla realtà, creandone una visione incantevole per il pubblico.
Nel 1949, Napoli cerca di risollevarsi dal difficile passato bellico, ma la povertà e le sciagure dilagano ancora in città.
In questo contesto, la piccola Celestina (Dea Lanzaro), rimasta orfana e sola dopo che anche la sorella maggiore è partita alla volta degli Stati Uniti per seguire il suo sogno d’amore con un soldato americano, si unisce all’altrettanto solitario Carmine (Antonio Guerra), amico poco più grande di lei.
I due cercano di sopravvivere attraverso espedienti, ma quando si presenta loro l’occasione di unirsi ad altri emigrati italiani in viaggio verso l’America su una nave della Marina americana, seppur in modo clandestino, grazie anche alla complicità del comandante di bordo Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino), Celestina e Carmine non si tirano indietro e insieme giungono a New York.
Si alternano dramma, riso, fantasia, realtà, Salvatores, anche autore della sceneggiatura, è riuscito a dare una forma unica ad un testo sicuramente originale, rendendolo una storia che riesce a mostrare con delicatezza e leggerezza, ma non per questo meno profondità, anche gli aspetti più crudi di una realtà storica devastante.
Questo è possibile proprio attraverso lo sguardo dell’infanzia, ancora una volta: la storia dell’emigrazione italiana all’estero è vissuta dai due giovanissimi protagonisti che affrontano le più aspre difficoltà, ma trovano sempre la forza di andare avanti, uniti nella speranza e volontà di un futuro migliore.
Anche per Napoli-New York il pregio sta in uno smagliante e ricco cast, a cominciare dai due incredibili Dea Lanzaro e Antonio Guerra, che con i loro volti scanzonati e semplici conquistano lo schermo con una verve naturale, irresistibile;
Pierfrancesco Favino conferma, invece, le sue preziose doti di interprete, costruendo un personaggio che colpisce per la sua sorprendente tenerezza.
Con lui anche Anna Ammirati, Antonio Catania e Anna Lucia Pierro.
Dunque, due racconti che riescono a trasmettere speranza e forza, il messaggio di Avvento più vero: che una strada per tutti c’è sempre e che anche nelle avversità della vita, la luce c’è e va cercata nei gesti e nelle parole più genuini, come avviene per i bambini.