di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
Terza domenica di Avvento
Sof 3,14-18; Sal Is 12,2-6; Fi1 4,4-7; Lc 3,10-18
La terza domenica di Avvento è detta Gaudete, dall’incipit dell’antifona d’ingresso della Messa: essa, dunque invita alla gioia, perché è tutta pervasa da una certezza di compimento, da una certezza di vicinanza del Signore. La gioia alla quale il cristiano è chiamato, però, non è il vuoto divertimento che nasce dallo svago o dallo stordimento, attraverso cui ci si discosta dalla vita presente e dalle fatiche, dalle crisi, dai conflitti o, anche, dai fallimenti che essa comporta. La gioia alla quale Paolo esorta i cristiani (cf. Fil 4,4: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti»), non è il frutto di una evasione dall’ordinario e neppure il risultato della conquista di qualcosa: essa, infatti, è il risultato della presenza del Signore o della certezza della sua venuta. Il Battista, protagonista di questa terza tappa d’Avvento, attesta con ferma certezza ai suoi ascoltatori: «Viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali».
Il Battista non propone se stesso come risposta all’attesa del popolo: egli, piuttosto, richiama l’attenzione dei suoi ascoltatori a Colui che verrà dopo di lui, ma che è più grande di lui. Occorre, però, per accogliere il Veniente, che gli si faccia spazio e questo comporta che ci si spogli delle proprie potenze. Bisogna spogliarsi, anzitutto, della brama di accumulo, grazie alla quale si crede di potersi mettere al sicuro dietro uno scudo di benessere («Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto»). Ai pubblicani, Giovanni chiede di non approfittare del proprio potere e della propria posizione per accumulare oltre il dovuto: è un potere iniquo, che alla brama di accumulo unisce la brama di dominio!
Ai soldati, infine, Giovanni chiede di non vessare e non razziare: a coloro che sono chiamati a esercitare la violenza (violenti quasi “per vocazione”), il Battista chiede di rinunciare alla propria brama di sopruso. In tal modo, egli propone una spoliazione dalle potenze che ciascuno si costruisce abilmente: una spoliazione che porti ogni uomo a ritrovarsi “impotente” davanti a Colui che è più forte, al Messia che viene con il fuoco e che libererà definitivamente dalle potenze di morte. Giovanni si proclama servo di quell’immersione in acqua che spoglia dalle proprie potenze, mettendo ciascuno dinanzi alla propria verità di fragilità e di peccato; solo un uomo così, convinto di peccato (cf. Gv 16,8) potrà ricevere l’evangelo, accoglierlo e farsi così riempire di gioia vera.
Non è allora una gioia “facile” quella che l’evangelo propone, perché è una gioia che deriva da Cristo e dal suo amore e porta, dunque, in sé i segni della sua pasqua, della sua passione, morte e resurrezione. La gioia in Cristo, infatti, è una gioia cui può accedere solo chi sia disposto a far morire la propria pretesa di poter essere da solo artefice della propria felicità e della propria pienezza: è solo allora che la gioia cristiana diviene vangelo, una buona notizia, in grado di rendere chi l’accoglie un vangelo per gli altri. Se il Battista può essere considerato testimone della