Daniele Rocchi – Il 7 gennaio 2015, due terroristi islamici attaccarono la redazione parigina di Charlie Hebdo, noto settimanale satirico francese, uccidendo a colpi di kalashnikov 12 giornalisti, rei a loro avviso, di aver preso in giro l’Islam e vendicare così il Profeta Maometto. L’attacco si inserì in una lunga sequenza di attentati terroristici che colpirono l’Europa dopo il 2001: a Madrid nel 2004, a Londra nel 2005 e a Bruxelles nel 2014. Altri ne sarebbero seguiti nei dieci anni successivi: ancora a Parigi il 13 novembre 2015, a Nizza e Berlino nel 2016, a Brokstedt e Magdeburgo in Germania nel 2023 e 2024. Gli autori dell’attacco a Charlie Hebdo due giorni dopo vennero individuati ed eliminati dalle forze di polizia e militari. L’11 gennaio 2015, nella capitale francese ebbe luogo una marcia con milioni di partecipanti a difesa della libertà di espressione. Pochi giorni dopo, uscì il nuovo numero di Charlie Hebdo, realizzato dai sopravvissuti, pubblicato in diverse lingue e distribuito a milioni di copie in tutto il mondo, sottolineando la resistenza contro il terrorismo e l’importanza della libertà di stampa. : è il messaggio che il settimanale lancia nell’edizione speciale di 32 pagine che sarà in edicola, per due settimane, a partire da martedì 7 gennaio, a dieci anni esatti dalla strage.
L’attentato a Charlie Hebdo, commenta al Sir Claudio Bertolotti, direttore esecutivo dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (React), che cura il Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa (https://www.osservatorioreact.it/) “rappresenta uno spartiacque del terrorismo di matrice jihadista in Europa che segna l’inizio di un’escalation di un fenomeno, impattante da un punto di vista mediatico e della sicurezza internazionale, quello dello Stato Islamico. E questo, nonostante l’attacco alla sede del giornale satirico francese non sia stato rivendicato dallo Stato islamico ma da al Qaeda nello Yemen”. Ma l’attentato, aggiunge l’esperto, se da un lato “innescò una sorta di competizione all’interno della galassia terrorista per riuscire a impossessarsi della vittoria e della narrazione sul piano della trasmissione della propaganda ideologica” dall’altro rappresentò anche “un evento importante da un punto di vista operativo perché si trattò del primo attacco terroristico in Europa che non si concluse con la strage ma si ricollegò ad altri eventi paralleli”. Il riferimento di Bertolotti è ai tentativi di fuga degli attentatori, alla mobilitazione di decine di migliaia di elementi delle forze di sicurezza e delle forze di difesa come ma prima in Europa. Per il direttore di React, “Fu il primo evento ad elevata intensità che riuscì ad ottenere notevoli effetti dal punto di vista mediatico e strategico”.
Considerato l’obiettivo e ciò che questo incarnava si può definire quello a Charlie Ebdo un attacco di natura politica?
L’attentato è stato un atto di natura politica, un messaggio rivolto a un’idea di libertà di espressione, condivisa o meno, intollerabile dal punto di vista jihadista. L’azione criminosa trova legittimità nella ideologia e nella religione riscuotendo consenso all’interno della galassia islamista e anche delle frange islamiche più moderate che avevano già condannato la pubblicazione delle vignette sul Profeta”. Da qui la spinta a organizzare, in maniera molto dettagliata, un’azione militare molto lontana dalle azioni terroristiche attuali che sono disorganizzate, emulative, spesso fallimentari condotte contro obiettivi molto limitati. A Parigi 10 anni fa, l’obiettivo era definito, non era previsto il martirio sul luogo dell’attacco ma il proseguimento di una lotta indipendentemente dal primo evento. L’obiettivo degli attentatori era colpire e fuggire per poter essere poi prontamente impiegabili in altri eventuali attacchi futuri. I due attentatori non volevano morire combattendo. Sono diventati ‘martiri’ a seguito della risposta delle forze di sicurezza.
Come si è evoluto il terrorismo da quel 7 gennaio 2015? Poco fa ha parlato di terrorismo contemporaneo come fenomeno sociale diverso dai terrorismi che lo hanno preceduto.
Oggi parliamo di un fenomeno sociale su base individuale. Rispetto all’attacco contro Charlie Hebdo e agli attacchi di quegli anni, che avevano una base organizzata con più soggetti impegnati nella condotta di azioni terroristiche, oggi il terrorismo è diventato emulativo, quasi ‘a chiamata’, una chiamata simbolica del jihadismo militante, di soggetti di cui l’organizzazione centrale non sa assolutamente nulla se non il giorno stesso dell’attacco che tende poi a rivendicare solo in caso di successo. Sono soggetti difficili da intercettare perché non sono inseriti in un’organizzazione che può essere facilmente intercettabile dalle forze di sicurezza e dall’intelligence, e agiscono su impulso che proviene dall’esterno che potrebbe essere un evento emotivamente o mediaticamente impattante. Pensiamo alla vittoria dei talebani in Afghanistan, alla Striscia di Gaza, con l’appello di Hamas a colpire ovunque Israele e i suoi amici, e oggi alla Siria, dove c’è una contrapposizione fra lo Stato Islamico e i gruppi islamisti già jihadisti, che affondano le loro radici nel jihadismo globale di Al Qaeda. Sono eventi che possono provocare quelle azioni emulative singole, fallimentari e disorganizzate che caratterizzano il terrorismo contemporaneo.
Questo passaggio da un terrorismo organizzato e ramificato ad uno più emulativo e disorganizzato è da leggersi come un fallimento o un progresso del fenomeno terroristico?
Purtroppo, credo che rappresenti un successo che deriva dalla capacità di adattamento del terrorismo. Quando nel 2014 venne istituito lo Stato Islamico l’allora portavoce dello Stato islamico di Siria e Iraq fece un appello alla umma islamica di colpire ovunque in maniera individuale. E questo è successo diventando il modus operandi terroristico. I potenziali terroristi sanno che con un successo ottengono il riconoscimento di ‘soldato’ e il titolo di ‘martire’ e questo è sufficiente. Con l’effetto emulativo ognuno può sentirsi portavoce degli ideali e della volontà dello Stato islamico.
Quali sono state le strategie antiterrorismo introdotte dopo l’attentato a Charlie Hebdo, e oggi, davanti a queste forme di terrorismo emulativo, quali nuovi sistemi sarebbero da introdurre?
L’attacco a Charlie Hebdo comportò una revisione complessiva dell’organizzazione e delle leggi in termini di contro-terrorismo dal punto di vista legislativo e anti-terrorismo dal punto di vista operativo. L’Europa, nel 2015, impresse una spinta molto forte ai singoli Stati che adottarono azioni legislative molto stringenti in termini di contrasto e di prevenzione anche se limitata alla sola fase operativa. Francia, Italia, Germania e Regno Unito seppero sviluppare strumenti legislativi estremamente efficaci.
In Italia giace ormai da due legislature, l’attuale sarebbe la terza, la proposta di legge Dambruoso, Manciulli denominata “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista”. Potrebbe essere uno strumento utile per promuovere anche forme di prevenzione sociale?
La proposta di legge poteva essere uno strumento utile per promuovere la prevenzione sociale, capace di fronteggiare sul nascere la spinta e l’adesione al modello ideologico del terrorismo. La legge, infatti, avrebbe consentito ai servizi sociali, alla Polizia, agli istituti di formazione, al ministero dell’Istruzione, di lavorare congiuntamente per prevenire sul nascere, in particolar modo nella fase adolescenziale dei giovani, l’adesione a un modello di violenza. Quel progetto di legge è stato poi ripreso dagli onorevoli Emanuele Fiano e Matteo Perego di Cremnago, che allargarono le misure anche all’estremismo di destra e di sinistra. Oggi la proposta andrebbe aggiornata alla luce del mutamento del fenomeno del terrorismo da 10 anni a questa parte. Attualmente l’Italia è priva di uno strumento di prevenzione.